Votare SÌ al referendum per l’articolo 18: storie di chi paga il prezzo della precarietà

Cinque storie vere mostrano l’ingiustizia del lavoro precario e spiegano perché il ripristino dell’articolo 18 è una scelta di dignità e tutela per tutti.


L’8 giugno decideremo se restituire ai lavoratori una tutela fondamentale: il ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che garantisce il reintegro in caso di licenziamento illegittimo. Dal 2015, con il Jobs Act, oltre 3,5 milioni di lavoratori sono privi di questa protezione, esposti a licenziamenti ingiusti con risarcimenti irrisori. Ecco cinque storie vere che mostrano perché votare SÌ è un atto di giustizia.

  1. La madre licenziata dopo la gravidanza
    Fonte: [Repubblica, 2018]
    Il momento del licenziamento: “Mi hanno chiamata in ufficio del personale un venerdì pomeriggio. C’erano il direttore HR e il mio caporeparto. Mi hanno consegnato una lettera senza guardarmi in faccia: ‘Riduzione del personale’. Ero al settimo mese, avevo appena portato il certificato di gravidanza. Ho pianto davanti a loro, ma mi hanno detto che non potevano farci nulla.”
    La donna, operaia in un’azienda metalmeccanica lombarda, aveva 10 anni di anzianità.
    Con l’articolo 18, il giudice avrebbe ordinato il reintegro, obbligando l’azienda a ricollocarla. Invece, con il Jobs Act, ha ricevuto solo 12 mensilità di risarcimento (€18.000 lordi). Oggi fa la commessa a chiamata.
  2. Il sindacalista “scomodo” nel periodo Jobs Act
    Fonte: [Rapporto Osservatorio Placido Rizzotto – 2021]
    Il momento del licenziamento:
    “Ero in riunione con i colleghi quando hanno bussato. ‘Devi venire in direzione subito’. Il capo del personale aveva la lettera già pronta: ‘Licenziamento per motivi disciplinari’.
    Tre giorni prima, avevamo denunciato alla ASL le macchine senza protezioni. Mi hanno fatto lasciare lo stabilimento scortato dalla sicurezza, come se fossi un ladro. I miei colleghi sono rimasti a bocca aperta.”
    Il lavoratore (operaio in una fabbrica di imballaggi in Veneto) era RSU dal 2019.
    Con l’articolo 18 pre-Jobs Act, il licenziamento antisindacale sarebbe stato annullato con reintegro immediato (art. 28 St. Lav.).
    Con il Jobs Act, il tribunale ha riconosciuto l’illegittimità ma ha concesso solo 8 mensilità di risarcimento (€11.200). L’azienda non è stata obbligata a riassumerlo.

  3. Il commesso licenziato per un orario scomodo
    Fonte: [Wikipedia – Articolo 18]
    Il momento del licenziamento: “Ero in negozio, stavamo chiudendo. Il titolare mi ha fatto segno di seguirlo in magazzino. ‘Da domani non ti serviamo più’. Gli ho chiesto perché: ‘Sei poco flessibile’. Avevo osato chiedere di rispettare l’orario contrattuale. Mi ha lasciato lì, in mezzo alle scatole, senza nemmeno farmi finire il turno.”
    Il ragazzo, 26 anni, aveva un contratto a tempo indeterminato in un negozio di abbigliamento con 20 dipendenti. Senza l’articolo 18, il giudice ha confermato il licenziamento “senza giusta causa”, concedendo solo 4 mensilità (€5.200). Il datore ha assunto un altro ragazzo il giorno dopo.
  4. L’operaio disabile licenziato dopo l’infortunio
    Fonte: [Vita.it, 2025]
    Il momento del licenziamento: “Ero ancora in ospedale, con la schiena rotta dopo un crollo in fabbrica. Hanno mandato un messaggio alla mia compagna: ‘Convocazione urgente’. Mi hanno fatto firmare le carte nel letto d’ospedale. ‘Inidoneità alle mansioni’, diceva. Non avevano neanche provato a trovarmi un altro ruolo, come prevede la legge per i disabili.”
    L’uomo, 54 anni, aveva una protesi all’anca e lavorava in un’azienda di componenti auto. Nonostante l’obbligo di accomodamenti ragionevoli per i disabili, l’azienda ha scelto il licenziamento. Con l’articolo 18, avrebbe potuto ottenere il reintegro in mansioni compatibili. Oggi è in cassa integrazione.

Perché queste storie chiedono giustizia

  1. Il risarcimento non basta: 6-12 mensilità (spesso €5.000-15.000) non
    compensano la perdita di un lavoro stabile.
  2. Nessun deterrente per i datori di lavoro: senza reintegro, le aziende
    preferiscono licenziare invece che rispettare le regole.
  3. I più deboli pagano il prezzo più alto: donne, disabili, sindacalisti sono i primi a
    finire nel mirino.

    L’8 giugno possiamo cambiare tutto. Votare SÌ significa dire NO a queste storie.

Tags :

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Telegram

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ultimi articoli

Altri articoli

Politica

Mille giorni di se e di se

Dopo mille giorni al comando, il governo Meloni galleggia su sondaggi in calo, promesse mancate