Quando lo Stato spia chi dissente: il caso dell’infiltrato in Potere al Popolo

Un agente sotto copertura, inviato dall’antiterrorismo, si infiltra per mesi in un partito politico di opposizione, senza alcun mandato giudiziario. Lo Stato che non sopporta il dissenso, prova a controllarlo.

In un Paese che si definisce democratico, la notizia di un agente sotto copertura infiltrato in un partito politico regolarmente in corsa alle elezioni farebbe tremare le istituzioni. In Italia, invece, passa quasi inosservata. Nessuna spiegazione ufficiale, nessuna assunzione di responsabilità. Solo silenzi e reticenze.

Per dieci lunghi mesi, un agente appena ventunenne, assegnato alla direzione centrale della Polizia di prevenzione – sì, proprio l’antiterrorismo che il ministero stesso chiama “polizia politica” – ha partecipato a riunioni, incontri interni, manifestazioni e assemblee di Potere al Popolo. Sempre presente durante la settimana, mai nei weekend. Senza un mandato della magistratura, senza alcuna trasparenza.

La versione fornita – quella del giovane militante entrato spontaneamente – si sgretola di fronte a trasferimenti documentati, presenze costanti, prove fotografiche e incroci ufficiali. Chi ha autorizzato questa operazione? Con quale legittimità? Il Viminale tace, e intanto la legalità democratica si incrina.

A sollevare il velo su questa vicenda è stata una dettagliata inchiesta di Fanpage.it, pubblicata il 29 maggio 2025, che ha messo nero su bianco nomi, date, documenti e fotografie, smascherando il tentativo di infiltrazione e controllo sistematico di una forza politica di opposizione. Un lavoro giornalistico meticoloso che dovrebbe scuotere l’opinione pubblica, e invece viene accolto dal solito silenzio assordante delle istituzioni.

E non è un caso isolato. Ricordiamo le intercettazioni abusive ai danni dei giornalisti di Fanpage.it, dei responsabili delle Ong Mediterranea Saving Humans e Refugees in Libya, e dei loro contatti. Tutti spiati, schedati, tracciati. Con spyware di livello militare, come Paragon.

Non si tratta più di semplici abusi o errori. Qui siamo di fronte a un progetto consapevole, a una deriva pericolosa: lo Stato che invece di garantire il dissenso, lo sorveglia e lo silenzia. Un salto verso un autoritarismo che agisce nell’ombra, ma colpisce nel cuore i principi costituzionali.

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