Meloni sulla copertina del Time: il ritratto che la destra non ha letto

C’è chi grida al trionfo e chi la paragona a De Gasperi, ma l’articolo del Time è ben lontano dalla celebrazione: è un dossier lucido e inquietante sul modello Meloni, tra accentramento del potere, controllo dell’informazione e derive autoritarie. Una destra che si specchia nel proprio riflesso, senza accorgersi delle crepe.

Quando la notizia della copertina dedicata a Giorgia Meloni da parte del Time è rimbalzata sui social italiani, la destra nostrana ha avuto un sussulto di gioia. Ministra Santanché in testa, con toni da curva sud, si è lanciata in proclami contro “i disfattisti”. Gli adepti di Fratelli d’Italia l’hanno sbandierata come un’investitura solenne: la Meloni è diventata una statista globale, punto. E pazienza se il titolo della cover story recita: “Where Giorgia Meloni Is Leading Europe”, ovvero Dove Giorgia Meloni sta guidando l’Europa, una domanda più che una dichiarazione.

Solo che poi uno legge (non necessariamente in inglese) e scopre che l’articolo – firmato da Massimo Calabresi, penna esperta e tutt’altro che ostile – non è per niente un che un’agiografia.

Qui trovate l’articolo originale, che potete anche tradurre, 👉 Where Giorgia Meloni Is Leading Europe

Da Garbatella al potere: un’ascesa che preoccupa

La narrazione del Time parte dalle origini, dalla ragazza cresciuta alla Garbatella che ha scalato i palazzi del potere europeo. Una leader carismatica, abile nel misurare le parole e nel mostrarsi affidabile con gli alleati della NATO. Una che ha conquistato fiducia a Washington e Bruxelles, senza però rinunciare a una retorica profondamente identitaria e nazionale.

Eppure, la vera sostanza dell’articolo è altrove. Nei dettagli. Nelle ombre. Perché se è vero che Meloni ha costruito una reputazione moderata per affacciarsi alla scena internazionale, “con la presidenza di Trump sta tornando a destra, compiendo piccoli ma costanti passi per erodere la democrazia”. L’articolo parla chiaro: quello italiano è parte di un più vasto movimento reazionario che cerca di smantellare il liberalismo del secondo dopoguerra. Altro che nuova statista.

Il “modello Meloni” e la sindrome Orbán

Calabresi non lo dice esplicitamente, ma chi legge tra le righe trova un paragone sempre più ingombrante: Viktor Orbán. Anche Meloni, come il premier ungherese, si muove con passo felpato, avanza centimetro dopo centimetro, consolidando potere, controllando narrazione, punendo dissenso. “Consolidare il potere esecutivo, reprimere i media, esercitare il controllo sul sistema giudiziario, prendere di mira gli immigrati senza documenti e limitare alcune forme di protesta”. L’agenda, per dirla tutta, non è quella di De Gasperi, ma piuttosto quella di Budapest.

Non è finzione né allarmismo: è cronaca. Lo stesso Time descrive “una complessa serie di misure che amplierebbero il controllo del premier sui procedimenti giudiziari”, una giustizia messa al guinzaglio, che ricorda troppo da vicino esperimenti autoritari in corso altrove. A questo si aggiunge la persecuzione della maternità surrogata, anche praticata all’estero, “una mossa condannata dai sostenitori dei diritti degli omosessuali”. Una destra che colpisce le libertà con precisione chirurgica, giocando con simboli e tabù culturali.

Il populismo del XXI secolo: nativista, occidentale, aggressivo

Meloni, secondo il Time, incarna “un nuovo tipo di nazionalismo: populista, nativista e filo-occidentale”. Un ibrido che si presenta rassicurante fuori dai confini, ma in patria mostra il volto feroce dell’intolleranza. E non è un caso che l’articolo segnali la continuità tra questa nuova destra europea e il movimento MAGA americano. La strategia è la stessa: sfruttare la crisi della democrazia liberale, accendere i fuochi dell’identità, colpire chi dissente.

D’altronde, lo stesso secondo in comando, Ignazio La Russa, “un tempo teneva un busto di Mussolini nel suo appartamento”. Non un inciampo folcloristico, ma un tassello di un mosaico ideologico che rifiuta di fare i conti con il passato. Nessuna nostalgia è davvero innocua.

La distorsione comunicativa: quando la forma inganna il contenuto

C’è qualcosa di paradossale, e anche di profondamente istruttivo, nella reazione scomposta della destra italiana alla copertina del Time. Come se bastasse un titolo per ribaltare il senso di un’inchiesta. Come se la foto patinata avesse più valore del testo che accompagna. È il trionfo della superficie sulla sostanza, dello slogan sul ragionamento. Si celebra il simbolo, ignorando il significato. Si twitta, ma non si legge. Si esulta, ma non si capisce.

Eppure, il reportage di Calabresi non è un attacco isterico. È un’analisi lucida, talvolta persino rispettosa, ma inesorabilmente critica. Perché vedere nel “modello Meloni” la normalizzazione della nuova destra radicale è legittimo. Anzi, doveroso. È un allarme, non una bandiera.

L’Europa che verrà, se non stiamo attenti

Quello che inquieta, come scrive il Time, “non è tanto il suo comportamento, quanto il suo adattamento alle forze che il nazionalismo ha scatenato in passato”. La Meloni non inventa nulla. Semplicemente interpreta. E lo fa bene. Ma la posta in gioco è altissima: la ridefinizione dell’Europa come spazio identitario, chiuso, militarizzato, in cui il potere esecutivo si rafforza mentre le garanzie democratiche si indeboliscono. È questo il futuro che vogliamo?

Chi oggi celebra una copertina ignorandone il contenuto si sta illudendo. E sta illudendo anche gli altri. Perché non serve a nulla parlare di “orgoglio italiano” se in gioco c’è l’erosione progressiva dello Stato di diritto. Non basta la retorica patriottica per mascherare derive autoritarie. E non basta una foto per rendere giusto ciò che è pericoloso.

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