L’effetto Mamdani e la sinistra che non chiede più il permesso

Da oggi, 4 novembre 2025, New York va al voto. Zohran Mamdani, 34 anni, socialista e musulmano, è il grande favorito per diventare sindaco. Non potrà mai essere presidente, ma ha già riscritto le regole della politica americana, parlando a un Paese stanco di odio e di ipocrisie, e restituendo alla sinistra la sua voce più autentica: quella della gente comune.

Da oggi, 4 novembre 2025, la città di New York si risveglia al voto. Dalle sei del mattino — mezzogiorno in Italia — i seggi sono aperti per eleggere il nuovo sindaco, e per la prima volta dopo anni l’attenzione non è su un candidato miliardario o sull’ennesimo uomo d’apparato, ma su un trentenne musulmano con la felpa e un’idea semplice: restituire la città a chi la abita.
Zohran Mamdani, 34 anni, socialista democratico, nato in Uganda da genitori indiani e cresciuto nel Bronx, è il nome che ha terremotato il Partito Democratico americano e fatto perdere la calma a Donald Trump.

Solo un anno fa era un deputato statale poco conosciuto. Oggi è il volto di una sinistra che non chiede più scusa per essere di sinistra. Ha battuto con uno schiacciante 59% alle primarie il vecchio leone Andrew Cuomo, ex governatore travolto dagli scandali, e ha costruito dal nulla un esercito di volontari giovanissimi: 10.000 persone che hanno bussato a 120.000 porte, raccogliendo oltre quattro milioni di dollari in microdonazioni da 18 dollari medi a testa.
La sua campagna è un fenomeno di comunicazione e di partecipazione: felpa col cappuccio, reel multilingue, humour tagliente e un linguaggio che parla di “solidarietà virale” contrapposta all’odio-brand di Trump.

Le sue proposte sono concrete, non slogan: blocco degli affitti per un milione di case, autobus e asili nido gratuiti, supermercati comunali a prezzi calmierati, tassa progressiva su ricchi e multinazionali.
Un piano da sette miliardi di dollari, in una città con un bilancio di 116 miliardi. “I soldi ci sono, basta decidere da che parte stare”, ripete Mamdani.
La sua promessa non è “fare miracoli”, ma “fare giustizia”.

Ma la novità più radicale non è nei numeri. È nello stile. Mamdani non fa comizi in giacca e cravatta, ma video per strada, tra la gente, guardando dritto in camera. Cammina, ascolta, sbaglia lingua e ride di sé.
In un video spiega la “halal-flation” parlando con i venditori di street food; in un altro si tuffa nell’oceano di Coney Island per annunciare il blocco degli affitti; in un altro ancora arriva in ritardo a un dibattito televisivo, scusandosi: “Ho preso l’autobus, come tutti”.
È una politica che torna gesto, non spettacolo. Relazione, non immagine. Non si rivolge ai “followers”, ma ai vicini di casa.

Questo spiega perché i sondaggi lo diano avanti di oltre dieci punti su Cuomo e di venti sul repubblicano Curtis Sliwa. E anche perché la destra, a partire da Trump, lo detesti con tanta passione.

Trump lo teme perché sa che Mamdani rappresenta ciò che la sua retorica non può controllare: un’America che non risponde all’odio con l’odio, ma con la solidarietà.
Eppure Mamdani non cade nella trappola dello scontro personale. “Sono pronto a incontrare Trump — ha detto — ma solo se parliamo del costo della vita dei newyorchesi”.
Un fair play raro in tempi di polarizzazione tossica.

Trump lo teme perché sa che Mamdani rappresenta ciò che la sua retorica non può controllare: un’America che non risponde all’odio con l’odio, ma con la solidarietà.
Eppure Mamdani non cade nella trappola dello scontro personale. “Sono pronto a incontrare Trump — ha detto — ma solo se parliamo del costo della vita dei newyorchesi”.
Un fair play raro in tempi di polarizzazione tossica.

Lo sostengono Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders, che ieri sera, nel comizio finale a Forest Hills, hanno arringato una folla oceanica: “Donald Trump ha avuto il suo giorno, ma il giorno dopo appartiene a noi”, ha gridato AOC.
E persino Barack Obama ha telefonato al giovane candidato per complimentarsi per la “campagna quasi senza errori” e offrirgli sostegno “quando dovrà governare”.

La sua identità musulmana e le posizioni a favore della Palestina gli hanno attirato attacchi feroci. Alcune dichiarazioni giovanili — poi chiarite — sono state strumentalizzate per accusarlo di antisemitismo. Mamdani ha risposto con un discorso intenso contro l’islamofobia e il razzismo, definendoli “le ultime scuse di chi non ha più argomenti”.
In quella voce c’era l’eco di Obama 2008, ma con un tono più urbano, più giovane, più contemporaneo.

Per i progressisti americani, Mamdani è già un modello: un modo nuovo di fare politica che unisce empatia e radicalità, concretezza e sogno. Per i Democratici tradizionali, è un campanello d’allarme: la base under 35 non si riconosce più nei nomi e nei rituali di sempre.
E per noi europei, guardare a New York oggi significa guardare allo specchio. Perché la domanda è la stessa: come si ricostruisce una sinistra che non voglia solo gestire l’esistente, ma cambiarlo?

L’“effetto Mamdani” non è solo americano. È l’idea che la giustizia sociale possa tornare popolare, che la solidarietà possa essere contagiosa, che la politica possa di nuovo essere credibile.
E mentre i seggi restano aperti, dalle 6 del mattino alle 21 ora locale, una città intera decide se dare le chiavi del suo futuro a un giovane con la felpa, la voce calma e la certezza che la politica o è umana — o non serve a niente.

Tags :

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Telegram

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ultimi articoli

Altri articoli

Politica

Ci avete rotto il gozzo

È difficile stabilire se sia più stupido chi ha ideato questa “strategia” o chi la

Giustizia

Per una giustizia giusta

Separazione delle carriere: l’appello del Comitato per il Sì “Giuliano Vassalli” Riceviamo da Gianni Pittella,