La città dei ricchi

Una città che cresce verso l’alto ma affonda verso il basso: il sogno urbano trasformato in incubo sociale.

Chissà cosa avrebbe pensato il milanese Giorgio Gaber della nuova ondata di speculazione edilizia nella sua città sulla quale ha acceso i riflettori la recente inchiesta giudiziaria. Quasi sessant’anni fa, lo sferzante cantautore, col tono sarcastico che gli era proprio, ci metteva in guardia sui pericoli della urbanizzazione incontrollata che attirava dalla campagna verso le città – “piene di strade e di negozi, e di vetrine piene di luci, coi grattacieli sempre più alti e tante macchine sempre di più”- migliaia di persone che speravano di trovare nelle metropoli un futuro più roseo rispetto a quello che la grigia provincia potesse assicurare.

L’inchiesta viene generalmente raccontata con l’ennesimo scontro tra politica e magistratura, quasi una riedizione della Tangentopoli che sconquassò il panorama politico nazionale all’inizio degli anni Novanta dello scorso secolo. Riteniamo invece che essa offra lo spunto per una riflessione diversa e più generale rispetto alle eventuali responsabilità penali dei singoli, semmai pure venissero accertate.

L’espansione edilizia incontrollata che ha interessato assieme a Milano, tutte le grandi e medie città italiane, fatta di ristrutturazioni di edifici esistenti laddove non era possibile il consumo di nuovo suolo, ha prodotto esclusivamente unità immobiliari destinati a una fascia ristretta di popolazione, a super ricchi in grado di acquistare case anche alla cifra di 10.000 euro al metro quadro. Operazioni spesso speculative che hanno, a loro volta, prodotto affitti a cifre folli. Lo sanno benissimo i tanti genitori di studenti meridionali che vanno a frequentare le università settentrionali.

. Nel Paese dove l’ascensore sociale è quasi sempre stato bloccato, dove i figli dei professionisti fanno i professionisti e i figli degli operai fanno gli operai, si è dunque bloccato anche l’ascensore dei grattacieli, riservati esclusivamente a chi gode di rendite di posizione spesso ereditate.

Il fenomeno ci indica in maniera chiara come sia radicalmente e velocemente mutata la società che ci circonda in pochi decenni. Furono proprio le grandi metropoli, spesso guidate da giunte di sinistra, a praticare politiche di inclusione sociale e di edilizia popolare, che consentirono alla manodopera del boom economico di stabilirsi nelle città, e ai loro figli di frequentare scuole e università. Da qualche anno invece vige la cosiddetta “gentrificazione” dei centri urbani: investimenti pubblici o, più spesso, privati ma aiutati da politiche urbanistiche che li favoriscono, a fronte di un miglioramento di infrastrutture e servizi di una certa zona cittadina, attraggono un flusso di nuovi residenti benestanti ma rendono insostenibile la presenza dei residenti storici che si trovano costretti a emigrare altrove. Un intero ceto, quello più povero ma anche quello medio, è stato inesorabilmente espulso da interi quartieri verso periferie spesso abbandonate o prive dei confort e dei servizi necessari a condurre una vita accettabile.

Il rischio che si prospetta è evidente: da un lato si creano delle vere e proprie “enclave” per ricchi, dall’altro fasce di popolazione sempre più numerose abita in zone delle città dove degrado e insicurezza diventano il brodo di cultura per politiche populistiche a autoritarie. Non siamo tanto lontani da un futuro prospettato in romanzi e film di genere distopico nei quali la differenza di classe tra gli abitanti era plasticamente rappresentata anche da skyline cittadini ben caratterizzati in tal senso (ricordiamo per tutti i grattacieli e i bassi in Blade Runner di Ridley Scott).

Certamente non tocca a un’inchiesta giudiziaria trovare una soluzione alle conseguenze di disuguaglianza sociale e culturale della gentrificazione. Per l’ennesima volta la Magistratura riempie un vuoto lasciato dalla politica che ha trascurato, se non addirittura favorito, i rischi che speculazioni edilizie incontrollate possono produrre in un tessuto sociale già dilaniato e pronto a esplodere in mille pericolosi pezzi.

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