I giovani e la banalità del male

La violenza tra i giovani non è emergenza ma sintomo di un malessere sistemico: la risposta non è il carcere, ma un’educazione condivisa da scuola, famiglie e istituzioni.

“Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso” scriveva Hannah Arendt nel suo capolavoro La banalità del male.

L’ imperversare di sangue e violenza, eventi ormai banalizzati nell’ ottica di una scontata quotidianità, avviene sempre più spesso per mano di giovani, giovanissimi.

E sembra che il fenomeno non faccia così scalpore, da indurre le istituzioni a mettere un argine, in qualche modo un freno alla violenza giovanile.

La devianza giovanile è un fenomeno multilevel che investe una molteplicità di piani, da quello giuridico a quello psicologico, dove il reato diventa la risposta più estrema ai bisogni dei giovani.

L’ adolescenza è una fase della vita caratterizzata da trasgressività, impulsività e ribellione, una fase di disordine in cui il giovane esce dalla confort zone della famiglia per cercare gratificazioni altrove.

Tuttavia, si trova presto a fare i conti con le difficoltà della generazione Z, della generazione internet, capace di plasmare, influenzare ed esercitare il controllo sulla propria vita.

Tutto e subito, come insegna Internet, nell’ incapacità di distinguere il reale dal virtuale.

Esempi negativi, esempi dorati ma spesso lontani dalla realtà, irreali, acuiscono le frustrazioni del fallimento, già tipiche nell’ adolescente. Ed in questo turbinio di costanti trova spazio la devianza. Il giovane si ribella, il giovane cerca esempi negativi da emulare, il giovane è insofferente ai fallimenti, ai no.

Sempre più spesso, come la cronaca insegna, da ultimo il terribile omicidio della giovane Martina, quattordicenne di Afragola, i giovani sono incapaci di reagire alla realtà, di trovare una risposta ragionevole innanzi a un dissenso : la strada più semplice diventa la violenza, per dimostrare la propria forza.

Essa rappresenta soltanto l’ apice, tuttavia quel che inquieta è il fatto di quanto sia diventata sistematica nonché il fatto che costituisce solo una parentesi di una vita apparentemente normale.

Uscire con gli amici, cenare con una pizza subito dopo un omicidio è la risposta al fatto che anche la violenza, in maniera inquietante, ha assunto la dimensione della normalità nel quotidiano dei giovanissimi.

Tutto ciò che normale – nella norma – non dovrebbe essere mai. Nessuna distinzione tra male e bene, risposta alle assenze di famiglie, scuole ed istituzioni. Incapaci di cogliere i bisogni e costruire muri prima che la devianza possa scavalcarli e prendere piede.

La risposta penale è la soluzione al problema? Abbassare la soglia di imputabilità a 12 anni come si discute attualmente in Parlamento? Inasprire le pene e creare norme speciali?

Certamente no. L’ adolescenza va coltivata col buon esempio. E il buon esempio deve venire da scuole e istituzioni, soprattutto nei contesti in cui la presenza della famiglia non è scontata.

Educare alla realtà, alla diversità, al riscatto sociale. Educare ai ‘no’, educare all’ uso responsabile di internet e dei social network

Le pene, le sanzioni e la riprovazione sociale non sono mai la giusta risposta alla violenza di un giovanissimo.

L’ obbligo di intervento è del sociale prima che del diritto penale.

Di ogni violenza giovanile siamo tutti, in egual misura, responsabili.

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