La premier si prende il merito di una ripresa che i dati smentiscono: i salari reali continuano a rincorrere l’inflazione, altro che svolta epocale. Chiedere alle famiglie se è aumentato il potere di acquisto.
Nel suo video pre-1° maggio, Giorgia Meloni ha voluto dipingersi come la paladina dei lavoratori. Ha promesso nuove risorse contro le morti sul lavoro – e fin qui nulla da eccepire – ma poi ha tirato fuori il coniglio dal cilindro: i salari stanno finalmente crescendo grazie al mio governo. Davvero?
La premier ha dichiarato con sicurezza che i salari reali crescono, al contrario di quanto accadeva “in passato”. E per sostenere questa tesi ha citato un dato comparativo: dal 2013 al 2022, in Europa il potere d’acquisto dei salari sarebbe aumentato del 2,5%, mentre in Italia sarebbe calato del 2%. E qui entra in scena il suo governo, che – a suo dire – da ottobre 2023 avrebbe cambiato le carte in tavola, invertendo la rotta e spingendo le famiglie a recuperare terreno sul fronte del potere d’acquisto.
Insomma, secondo Meloni oggi le buste paga italiane avrebbero finalmente iniziato a respirare. Ma i dati cosa raccontano davvero? Purtroppo per la presidente, la realtà è molto meno trionfalistica. E, anzi, la sua narrazione rischia di essere parecchio fuorviante.
Una narrazione costruita su sabbie mobili
Non è la prima volta che l’attuale esecutivo rivendica presunte “inversioni di tendenza”: lo ha fatto sul turismo, sull’occupazione, ora tocca ai salari. Ma quando si va a guardare i numeri, i trionfi dichiarati somigliano più a slogan elettorali che a risultati concreti.
Prendiamo per esempio il Rapporto annuale 2023 dell’ISTAT, da cui Meloni ha pescato quel confronto tra Italia ed Europa. Il dato è corretto, ma è riferito alle retribuzioni lorde annue per dipendente, un indicatore molto specifico che include tutto ciò che un lavoratore percepisce in un anno, benefit compresi. Già da qui emerge un primo problema: mescolare indici diversi per costruire una narrazione unitaria è un’operazione scorretta.
E cosa è successo con l’arrivo del governo Meloni? Nel 2023 – primo anno interamente sotto il suo mandato – le retribuzioni lorde annue sono diminuite. Altro che inversione: siamo scivolati ancora più in basso.
Un andamento a zig-zag, non una svolta netta
Guardando i grafici dell’ISTAT, si capisce che tra il 2013 e il 2023 non c’è stata una discesa continua dei salari. C’è stato piuttosto un percorso a zig-zag, con salite e cadute. In certi anni – come il 2021 – le retribuzioni reali erano persino superiori a quelle del 2013. Dove sarebbe, allora, questa catastrofe economica precedente all’era Meloni?
La verità è che l’inflazione esplosa tra il 2021 e il 2023 ha picchiato duro sui salari, erodendo il potere d’acquisto. Ma la colpa non è di un governo in particolare: è un fenomeno internazionale. E anche se da fine 2023 l’inflazione ha rallentato (più in Italia che altrove), non è stato certo merito di Palazzo Chigi. Lo dice chiaramente anche l’ISTAT.

E nel 2024?
Qui le cose si fanno ancora più nebulose. Meloni parla di una svolta dal “dopo ottobre 2023”, ma i dati completi sull’anno appena trascorso non sono ancora stati pubblicati. Quindi, affermare che “le famiglie stanno recuperando il potere d’acquisto” è – nella migliore delle ipotesi – una scommessa. E nella peggiore, un’invenzione.
Ma allora da dove spunta questa storia del “cambio di rotta”? Dal Rapporto ISTAT 2024, che dice una cosa ben precisa: da ottobre 2023, le retribuzioni contrattuali orarie – ovvero i salari stabiliti nei contratti collettivi – hanno iniziato a crescere più velocemente dei prezzi. Attenzione: non si parla delle retribuzioni annue effettive che i lavoratori ricevono. È un altro indicatore, con un’altra funzione. E anche qui, la ripresa riguarda solo gli ultimi mesi dell’anno.
Non solo: secondo i dati più recenti pubblicati da ISTAT il 29 aprile, le retribuzioni contrattuali reali a marzo 2025 sono ancora più basse dell’8% rispetto a gennaio 2021. In soldoni? Anche se ora stanno un po’ recuperando, siamo ancora lontani dal tornare ai livelli pre-crisi.
Conclusione: il trucco c’è, ma si vede
Meloni ha mescolato pere e mele: da un lato ha citato l’andamento delle retribuzioni lorde annue per lamentare il passato, dall’altro ha usato un dato parziale e diverso (le retribuzioni orarie contrattuali) per vantare i presunti successi del suo governo.
Il risultato è una narrazione confezionata ad arte, che cerca di convincere l’opinione pubblica di un miglioramento che, nei fatti, non c’è stato. Al massimo, si può dire che la discesa si è rallentata. Ma non che siamo tornati a salire. E, di certo, non più degli altri Paesi europei, visto che oggi non abbiamo nemmeno i numeri per confrontare.
In attesa del prossimo report ISTAT, che uscirà il 21 maggio, conviene tenere i piedi per terra. Perché finché i dati non cambiano, le dichiarazioni restano solo parole.