Il “nuovo” neofascismo

Dall’antifascismo del 25 aprile al neofascismo strisciante: come la nuova destra globale mina la democrazia usando gli strumenti della democrazia stessa.

Le celebrazioni per l’ottantesimo del 25 aprile, giorno della Liberazione dall’occupazione nazista e dallo spietato regime di terrore instaurato nell’Italia settentrionale dalla cosiddetta repubblica Sociale Italiana di Salò, hanno rinfocolato il dibattito sulle categorie del fascismo e dell’antifascismo.

Da molti settori, soprattutto della Sinistra, si chiede spesso a esponenti dell’attuale maggioranza di destra di dichiararsi antifascisti, sapendo benissimo che è una domanda retorica alla quale non riceveranno mai una risposta netta.

D’altronde è una domanda mal posta, inutile: se un giorno Meloni si dichiarasse antifascista, avremmo risolto il problema della deriva autoritaria tipica delle destre internazionali di questo inizio di ventunesimo secolo di cui la Presidente del Consiglio è una degli esponenti di punta?

Il fascismo, inteso come il regime instaurato in Italia da Benito Mussolini e poi esportato in altre parti del mondo, deve rimanere oggetto di dibattito storico e d’altronde, per chi volesse approfondire, oramai c’è una sterminata letteratura, di ogni orientamento, che viviseziona il Ventennio in tutti i suoi aspetti.

Risulta invece molto meno presente nel dibattito politico, quasi dimenticato, il tema del neofascismo degli anni Settanta che pure costituisce il brodo di cultura da cui sono nati, senza soluzione di continuità, le destre di questo secolo. Il Movimento Sociale Italiano rappresentò il tentativo di parlamentizzare il fascismo di derivazione mussoliniana, grazie anche alla decisone di non realizzare una Norimberga italiana ma anzi di normalizzare il dopoguerra attraverso un’amnistia che agevolò il rientro tra i “ranghi democratici” anche di chi aveva avuto responsabilità di rilievo nel regime dittatoriale.

Di contro, i gruppi neofascisti extraparlamentari come Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, Terza Posizione si caratterizzarono, nel quadro della Guerra Fredda, per un acceso anticomunismo e un ricorso sistematico alla violenza politica. Il neofascismo italiano è stato così parte integrante della cosiddetta ““strategia della tensione”, spesso utilizzato, se non proprio connesso con essi, da settori deviati dello Stato preoccupati da una svolta a sinistra della Nazione.

La P2, le stragi di Piazza Fontana, di Brescia, quella terribile della stazione di Bologna, furono momenti chiave di questa strategia. In contrapposizione all’altrettanto deleteria azione della sinistra terrorista e della sua utopia rivoluzionaria, i gruppi neofascisti italiani degli anni Settanta non facevano certo mistero di simpatie per le dittature militari, da cui ricevettero anche protezione, che imperversavano in alcuni Paesi europei e in America Latina. 

Di fondo a quella ideologia, infatti, c’era il disprezzo per la democrazia, considerata debole, corrotta, inefficace. L’ avversione per la democrazia liberale, seppur rimodulata e adattata ai nuovi tempi, è il filo conduttore che lega il neofascismo alle attuali destre. Il capro espiatorio allora era il comunismo e la necessità di evitare che l’Italia e l’Europa emulassero i regimi dell’Est; oggi i nemici sono l’immigrazione, l’Islam, la globalizzazione. Rimane la nostalgia per l’ordine perduto, l’ossessione per la purezza identitaria, l’impianto binario fondativo di tutte le destre estreme: chi non è con noi, è contro di noi.

Tuttavia, se tra neofascismo del secolo scorso e le destre attuali è comune l’obiettivo di riportare ordine e identità nella società indebolita dalla democrazia, molto diverse sono le strategie. Non ci sono più militanti in clandestinità, né bombe, né stragi. Gli attuali epigoni di quella storia utilizzano i metodi proprio delle democrazie per corroderle dall’intero, diminuirne sempre di più l’ampiezza, trasformarle, senza quasi farsene accorgere, in democrature con spazi sempre più limitati per il dissenso (in Italia, ne è una conferma, ad esempio, l’ipertrofico aumento di reati e pene per colpire il dissenso). Per raggiungere lo scopo, si utilizzano le elezioni, si occupano le piazze per marcare la presenza, anche con manifestazioni eclatanti come in occasione della commemorazione del povero Ramelli, e soprattutto si orienta il pensiero con occupazione massiva dei social.

Sia ben chiaro, il fenomeno non è solo italiano: dal Rassemblement National in Francia a Vox in Spagna, dall’AFD in Germania fino agli USA di Trump, l’estrema destra si reinventa in funzione mainstream attraverso una delegittimizzazione costante di istituzioni, media, università, scienza.

E’ sempre il “noi contro loro”: popolo contro élite, nazione contro straniero, veicolato attraverso i social network inondati di meme e fake news prodotti da veri e propri centri di disinformazione eterodiretti (Russia soprattutto).

Per i prossimi anni ci aspetta una sfida subdola, sottile ma essenziale per la sopravvivenza della democrazia per come l’abbiamo conosciuta e per come, nonostante i suoi difetti e imperfezioni, ci ha fatto conoscere decenni di libertà: riconoscere e combattere un’ideologia che non si dichiara più apertamente neofascista e che si nasconde dietro slogan accattivanti, indignazione popolare e apparente spontaneità. Non basterà soltanto la pur essenziale memoria storica, occorrerà anche una difesa attiva delle istituzioni democratiche contro ogni rigurgito fascista, antico o nuovo che sia.

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