Trump ha risvegliato il Canada: la rivincita dei Liberali di Carney contro la politica dell’aggressione

Mark Carney ha guidato una rimonta inaspettata che ha rimesso al centro la sobrietà e la competenza. Una risposta decisa a un Trump redivivo che voleva “spezzare” il Canada e a una politica polarizzata e fragile.

(Tempo di lettura: 4 minuti)

Ci voleva Donald Trump per far tornare i canadesi a credere nei Liberali. Ma non quelli logorati di Justin Trudeau: la riscossa è arrivata con un volto nuovo, sobrio, misurato, forse pure noioso per qualcuno. E proprio per questo, straordinariamente credibile. Mark Carney, ex banchiere centrale e debuttante in politica, ha riportato il Partito Liberale a una vittoria che nessuno si aspettava, e che porta con sé un messaggio chiarissimo: l’era dell’urlo e dello slogan non è l’unica possibile.

Trump, tornato alla Casa Bianca e più bellicoso che mai, ha fatto tutto il possibile per influenzare il voto canadese. Dazi punitivi, minacce di annessione, insulti istituzionali. Un mix esplosivo che ha alimentato una reazione patriottica senza precedenti e ricompattato un Paese che sembrava avviato verso una svolta conservatrice. Ma non è stata solo la paura a spingere il Canada verso Carney. È stata anche la voglia di serietà, di concretezza, di futuro.

Perché Carney non ha solo detto “No” a Trump. Ha detto “Sì” a un Canada più forte, più autonomo, più giusto. Ha messo in campo una visione economica coerente, la promessa di nuovi equilibri commerciali, investimenti nell’ambiente e nella difesa, una leadership pragmatica capace di disinnescare i toni tossici della campagna conservatrice. E soprattutto, ha parlato a tutti: “Non importa dove viviate, che lingua parliate o come abbiate votato: rappresenterò ogni canadese”, ha detto nella notte della vittoria. Un antidoto raro al veleno della polarizzazione.

Intanto, i Conservatori di Pierre Poilievre, che sembravano inarrestabili, si sono schiantati su una campagna fotocopia di quella trumpiana, fatta di chiusure, furore identitario e slogan rubati. “Canada first”, ripeteva Poilievre, mentre Trump parlava di “Canada come 51esimo stato”. L’effetto è stato disastroso: ha perso il suo seggio storico e aperto la crisi interna a un partito che si credeva già al governo.

A sinistra, l’emorragia di consensi ha travolto il Nuovo Partito Democratico, incapace di offrire un’alternativa e costretto a salutare il suo leader, Jagmeet Singh, la notte stessa del voto.

Questa elezione ha dimostrato che l’onda lunga del trumpismo può avere effetti devastanti, ma anche che può essere respinta. E lo è stata non da una sinistra ideologica, ma da una leadership centrista, lucida e riformista. Una lezione per il Canada, ma anche per chi in Europa guarda con preoccupazione alla deriva populista e cerca ancora di costruire una proposta di governo credibile, progressista e liberale.

Il Canada di Carney ci mostra che la competenza può tornare di moda. E che in tempi bui, a volte è proprio la sobrietà la scelta più rivoluzionaria.

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