Mentre Trump tenta di blindare il potere con il potere, milioni di cittadini americani tornano in piazza, non solo nelle città liberal, ma nel cuore profondo degli States. Ma nei media italiani di tutto questo si parla appena. E il centrosinistra? Nemmeno lo immagina.
Donald Trump è tornato. Più forte, almeno così vogliono farci credere ma, sicuramente, più arrogante e più pericoloso, e nelle ultime settimane ne abbiamo avuto una dimostrazione plastica. La vittoria del 2024, che lo ha riportato alla Casa Bianca, è stata raccontata come una sorta di investitura plebiscitaria. Non solo ha prevalso nei temuti Stati chiave ma, per la prima volta, si è preso anche il voto popolare. Per settimane i media hanno ripetuto lo stesso mantra: l’America ha scelto, ha voltato le spalle ai democratici, alla sinistra, al dissenso. E tutto quello che resta è adeguarsi.
Banche, multinazionali, social network, amministrazioni pubbliche: un esercito di opportunisti pronti a saltare sul carro del vincitore. L’abbiamo già vista questa scena. Ed è esattamente qui che arriva la notizia che non tutti si aspettavano e che in Italia è stata “oscurata”.
Sabato 14 giugno, in più di 2000 città americane, milioni di persone sono scese in strada. Non un semplice corteo. Non le solite marce della bolla progressista urbana. Stavolta, la protesta si chiama No Kings – “Niente Re” – e ha un respiro, un’energia, una geografia che raccontano un’altra America. Quella che non si è arresa e non si arrende, quella che resiste e organizza, a sua volta, la resistenza in vece di un Partito Democratico in coma profondo.
Oltre le bolle liberal: la protesta arriva a casa di Trump
Guardiamola bene questa mappa della ribellione. Certo, ci sono le città che ci aspettiamo: New York, San Francisco, Seattle. Decine di migliaia di persone, cortei pacifici, slogan contro l’autoritarismo, le guerre, il razzismo. Ma la vera notizia sta altrove. Sta nei settemila che hanno manifestato a Des Moines, Iowa. Nei duemila a Fort Myers, in Florida, roccaforte trumpiana. Nei mille della contea di Westmoreland, Pennsylvania, dove Trump ha vinto con oltre il 60%. Persino nei 600 di Homer, Alaska: una cittadina di 6000 anime dove, sfidando il freddo e il conformismo, un abitante su dieci è sceso in strada.
No Kings non è la solita protesta. È la fotografia di un malessere che si è allargato a macchia d’olio, fino alle contee rurali, alle città piccole e conservative, dove fino a ieri chi era contro Trump si sentiva isolato, circondato, silenziato.

Un presidente forte o un paese stanco?
Diciamocelo: la narrazione della vittoria trionfale di Trump regge poco alla prova dei numeri. Sì, ha vinto. Ma con margini strettissimi negli Stati chiave. Sotto il 50% a livello nazionale. E un Partito Repubblicano che, alle elezioni di medio termine, ha fatto peggio di quanto molti si aspettassero. Non proprio il ritratto di un consenso monolitico.
E allora, perché l’apparenza dice il contrario? Perché media e grandi gruppi economici si affrettano a compiacere l’inquilino della Casa Bianca? La risposta è la paura. Paura delle ritorsioni, dei tagli, delle leggi repressive. E soprattutto paura che il paese sia davvero virato a destra, senza ritorno.
Le piazze di questi giorni dimostrano che non è così. Che esiste ancora un’America che rifiuta l’autoritarismo, che non si rassegna all’austerità, al militarismo, al disprezzo per le regole democratiche.
Il silenzio italiano: una distrazione o una scelta?
E qui si apre la parentesi che ci riguarda più da vicino. Mentre milioni di americani tornano a invadere le piazze, mentre la protesta rompe l’isolamento persino nei territori più ostili a chi contesta il potere, in Italia… silenzio.
La notizia è passata sui radar solo di qualche testata indipendente o online. I grandi giornali? Quasi nulla. Né sui siti né nei telegiornali di prima serata. Più spazio alla parata militare di Trump, quasi nessuno alla marea civile che lo contesta.
Non è solo una questione di distrazione. È un riflesso di un problema più profondo: i media italiani da anni raccontano la politica americana in modo pigro, schematico, superficiale. Trump o Biden. Blu o rosso. Il resto non esiste. Non si vede, non si racconta, non si capisce.
Eppure, quello che accade oggi negli Stati Uniti è un pezzo del futuro democratico che riguarda anche l’Europa. Se milioni di persone riescono ancora a dire no, anche dove l’autoritarismo sembra vincente, significa che la partita è aperta. Significa i cittadini, prima ancora dei partiti, possono reagire. E che forse dovremmo guardarci più attentamente intorno, anche a casa nostra.
Il coraggio rompe il silenzio
Certo, non è facile. I manifestanti hanno dovuto affrontare un clima ostile, minacce, intimidazioni. Eppure, la gente è scesa comunque in strada. Migliaia, ovunque. Molti alla loro prima manifestazione. Persone comuni, anziani, famiglie, elettori moderati. Non solo i soliti attivisti.
Questo è forse il segnale più potente. La protesta non è più una nicchia, è un sentimento diffuso, trasversale, oltre le etichette politiche.
La resistenza è appena iniziata. In America. Altrove, solo un vuoto desolante
È presto per dire se No Kings sarà solo una fiammata o l’inizio di un nuovo ciclo di mobilitazione. La storia americana ci insegna che la strada è lunga, piena di ostacoli e che Trump non è certo un avversario da sottovalutare.
Ma una cosa è certa: la rassegnazione che aveva paralizzato i liberal americani dopo la vittoria del 2024 si sta incrinando. E con essa, il consenso di cartapesta costruito intorno alla nuova amministrazione. Le istituzioni, i media e le corporation dovrebbero prenderne atto.
Anche qui, in Italia. Perché se si continua a ignorare i segnali, a raccontare solo il potere e mai la protesta, ci si accorgerà troppo tardi che la democrazia non muore all’improvviso. Muore a colpi di silenzio.
E mentre in America milioni di cittadini, in città e paesini, si organizzano, si espongono, rischiano, da noi resta solo l’amaro spettacolo di un centrosinistra incapace persino di immaginare una piattaforma politica e una mobilitazione così vasta, coraggiosa, trasversale. Da noi, ci si limita ad incomprensibili comunicati stampa, a noiosi convegni, a qualche tweet incomprensibile.